Lo scorso 8 giugno, la Corte di Giustizia Europea si è pronunciata (C-407/2021) sulla legittimità del provvedimento (in quel caso, espressione del governo francese), con cui era stata introdotta, durante l’emergenza pandemica dovuta al Covid-19, la possibilità per gli organizzatori turistici di rilasciare, in caso di risoluzione dei contratto di viaggio e di soggiorno a scopo turistico, in luogo del previsto rimborso del prezzo pattuito, un buono valido 18 mesi, rivivendo per il viaggiatore il diritto di ricevere la restituzione del prezzo solo dopo il mancato utilizzo di tale buono per detto periodo.
Peraltro, analoga procedura (C-540/21) era stata avviata anche con riferimento ad un provvedimento assunto dal governo slovacco, in relazione al quale la decisione adottata per il caso francese veniva richiamata e confermata.
La direttiva 2015/2302 stabilisce, al n. 31 dei suoi considerando, la riconosciuta possibilità per il viaggiatore di risolvere, in qualsiasi momento, il contratto di pacchetto turistico prima dell’inizio dei servizi, dietro pagamento di adeguate spese di risoluzione che tengano conto di risparmi e introiti previsti che derivano dalla riassegnazione dei servizi turistici. Allo stesso modo, è garantita la risoluzione del medesimo contratto, senza corrispondere alcuna spesa, tutte le volte in cui circostanze inevitabili e straordinarie abbiano un’incidenza sostanziale sull’esecuzione del pacchetto. Tra queste eventualità, la direttiva del 2015 già enunciava i potenziali rischi alla salute umana derivanti da focolai di gravi malattie nel luogo di destinazione del viaggio.
Ciò premesso, l’art. 12 della richiamata disciplina comunitaria, ribadita apertamente l’impossibilità per gli Stati Membri di introdurre disposizioni divergenti rispetto a quelle europee, prevede con riferimento al caso che ci occupa che: “il viaggiatore ha diritto di risolvere il contratto di pacchetto turistico prima dell’inizio del pacchetto senza corrispondere spese di risoluzione in caso di circostanze inevitabili e straordinarie verificatesi nel luogo di destinazione o nelle sue immediate vicinanze e che hanno un’incidenza sostanziale sull’esecuzione del pacchetto o sul trasporto di passeggeri verso la destinazione. In caso di risoluzione del contratto di pacchetto turistico ai sensi del presente paragrafo, il viaggiatore ha diritto al rimborso integrale dei pagamenti effettuati per il pacchetto, ma non ha diritto a un indennizzo supplementare”.
Rispetto al termine di adempimento, è quindi stabilito che il rimborso deve essere eseguito dall’organizzatore al viaggiatore senza indebito ritardo e comunque entro il termine massimo di 14 giorni dalla risoluzione del contratto di pacchetto turistico. Infine, proprio per rimarcare il carattere imperativo di queste disposizioni, la direttiva prevede altresì che i viaggiatori non possano rinunciare ai diritti conferiti loro dalle norme nazionali che recepiscono la presente direttiva e che eventuali clausole contrattuali o dichiarazioni che escludano o limitino, direttamente o indirettamente, i diritti derivanti dalla presente direttiva o il cui scopo sia eludere l’applicazione della presente direttiva non vincolino il viaggiatore.
Preliminarmente, la sentenza si sofferma sulla nozione di rimborso ritenendo che, in questo ambito, devono intendersi esclusivamente le dazioni di denaro, non potendosi a ciò equiparare le emissioni di buoni od altre forme di note di credito di valore equivalente. Ciò non conduce all’impossibilità per il viaggiatore di accettare volontariamente l’emissione di un buono al posto della restituzione integrale del prezzo pattuito, ma sempre a condizione di ciò non lo privi del suo diritto a tale rimborso e che, in ogni caso, sia una sua consapevole e libera scelta.
Passando all’aspetto della temporanea inapplicabilità delle previsioni dettate dalla direttiva europea, sostenuta da alcuni dei governi degli stati membri a cagione dell’emergenza pandemica in atto, la Corte ha osservato che la nozione di «circostanze inevitabili e straordinarie» racchiuda in sé anche lo scoppio di una crisi sanitaria mondiale. Sarebbe quindi da escludersi la possibilità per gli Stati membri di esentare, seppur temporaneamente, gli organizzatori di pacchetti turistici dal loro obbligo di rimborso previsto dall’articolo 12, paragrafi da 2 a 4, della direttiva 2015/2302, dato che né tale disposizione né altre disposizioni di detta direttiva prevedono un’eccezione al carattere obbligatorio di tale obbligo per cause di forza maggiore.
Da quanto precede ne consegue che, in caso di risoluzione di un contratto di pacchetto turistico a seguito dello scoppio di una crisi sanitaria mondiale, gli organizzatori di viaggi interessati sono e rimangono obbligati a rimborsare integralmente ai viaggiatori colpiti i pagamenti effettuati per il pacchetto turistico, alle condizioni previste all’articolo 12, paragrafo 4, di tale direttiva.
Considerato il carattere imperativo della previsione contenuta nella direttiva comunitaria e la dichiarata impossibilità per gli stessi Stati membri di stabilire un livello di garanzie inferiore a quelle previste, eventuali disposizioni che, anziché prevedere il rimborso integrale, consentano (seppur temporaneamente) all’organizzatore di pacchetti turistici di imporre al viaggiatore soluzioni alternative (come, ad esempio, il riconoscimento di un voucher), si pongono in violazione del diritto dell’Unione, con conseguente possibilità per il giudice nazionale di disapplicare la normativa nazionale.
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La Corte ha quindi concluso dichiarando che “l’articolo 12, paragrafi da 2 a 4, della direttiva 2015/2302, in combinato disposto con l’articolo 4 di tale direttiva, deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale in forza della quale gli organizzatori di pacchetti turistici sono temporaneamente esentati, nel contesto dello scoppio di una crisi sanitaria mondiale che impedisce l’esecuzione dei contratti di pacchetto turistico, dal loro obbligo di rimborsare integralmente ai viaggiatori colpiti, entro 14 giorni dalla risoluzione di un contratto, i pagamenti effettuati per il contratto risolto, e ciò anche laddove una siffatta normativa miri ad evitare che la solvibilità di tali organizzatori di viaggi sia compromessa al punto da mettere a repentaglio la loro sussistenza a causa del numero considerevole di richieste di rimborso attese, e quindi miri a preservare la sopravvivenza del settore interessato“.