Di recente, alcuni dirigenti medici di pubblico impiego hanno segnalato la ricezione di moratorie provenienti dalle loro aziende sanitarie con cui veniva preannunciato il recupero di importi che, secondo la tesi datoriale, avrebbero dovuto essere oggetto di trattenuta alla fonte, con conseguente necessità di invocarne il rimborso, seppur a distanza di molti anni dai fatti contestati.
La tesi sostenuta dalle Aziende promotrici di questa iniziativa si fonda sul fatto che, a loro dire, il D.L. n. 158 del 13/09/2012, convertito nella legge n. 189/2012 (cd. Legge Balduzzi) avrebbe introdotto, in materia di attività libero professionale intramoenia, una trattenuta pari al 5% del compenso riconosciuto al professionista, da destinare ad interventi di prevenzione o di riduzione delle liste di attesa.
Sempre secondo la prospettazione della parte datoriale, questa trattenuta avrebbe dovuto applicarsi con effetto immediato e quindi fin dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della richiamata disciplina normativa, avvenuta il 14 settembre 2012.
Volendo pertanto interrompere il decorso del termine prescrizionale, sono state dunque inoltrate plurime costituzioni in mora dei sanitari coinvolti, invocando il buon diritto dell’Azienda a procedere alla richiesta di restituzione di quanto erogato in più rispetto al dovuto, con riserva di esatta quantificazione delle somme non appena completate le verifiche contabili del caso.
Risolutivo della questione è stato il recente pronunciamento della Corte di Appello di Milano (sentenza n. 1795/2019) che, riformando la pronuncia resa dal Tribunale a favore degli interessi aziendali, ha dichiarato l’illegittimità della trattenuta applicata nei confronti dei professionisti che avevano lavorato in regime intramurario, con conseguente condanna della stessa azienda alla restituzione di quanto indebitamente percepito, con interessi e rivalutazione, medio tempore maturati.
In buona sostanza, la Corte ha ritenuto che l’intera disciplina dettata dal D.L. n. 158/12 era intervenuta sulla previgente normativa per fornire una nuova e specifica regolamentazione dell’attività intramoenia dei medici, uscendo così dal regime transitorio fino a quel momento esistente, e così prevedendo, fra l’altro, anche i criteri con cui definire le tariffe da applicare all’utenza previo accordo in sede di contrattazione integrativa aziendale.
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Rifacendosi al contenuto dell’art. 1, comma 4 lett. c) della L. n. 120/2007, così come modificato dal D.L. n. 158/2012, il Tribunale di Milano ha quindi osservato che, mentre la prima parte della norma individua le modalità con cui vengono stabiliti i compensi a carico dell’utenza della prestazione intramuraria, nella seconda parte viene prevista un’ulteriore quota, pari al 5% sui compensi del professionista, sempre a carico dell’assistito in aggiunta a quanto già determinato.
Questo significa che l’azienda non potrà trattenere la quota del 5% sul compenso del professionista, così decurtandolo, trattandosi in realtà di un componente di calcolo che incide sulla determinazione finale della tariffa, che sarà poi corrisposta dall’utente interessato.
A supporto di questa interpretazione, viene rievocato un passaggio dei Lavori preparatori del Senato sul testo del D.L. n. 158/2012 dove, facendo riferimento all’inclusione della quota del 5% nel calcolo delle tariffe, si legge che “la determinazione degli importi risulta idonea ad assicurare l’integrale copertura di tutti i costi direttamente e indirettamente correlati alla gestione dell’attività libero professionale intramuraria”, così dando ad intendere che il computo deve essere omnicomprensivo.
Si perviene alla stessa conclusione – secondo la Corte – anche per ragioni di ordine sistematico, laddove la formulazione originaria all’art. 1 L. 120/2007, dedicato a regolare proprio l’attività libero-professionale intramuraria, stabiliva una modalità molto generica per la determinazione delle tariffe, senza alcun riferimento alla contrattazione decentrata.
Di contro, con l’adozione del D.L. n. 158/2012, il Legislatore ha invece voluto fornire una direttiva ben più precisa per calcolare le tariffe che l’assistito è tenuto a corrispondere per le prestazioni sanitarie in regime intramurario, per cui non sarà possibile scindere la prima parte della norma, dove si enumerano le voci che compongono il costo, da quella successiva, che prevede l’ulteriore incremento del 5%, trattandosi di un unico meccanismo di determinazione tariffaria.
Ne consegue, pertanto, la dichiarazione di illegittimità della trattenuta applicata dall’azienda sanitaria in danno dei professionisti in regime di attività libero-professionale intramuraria, con conseguente condanna della stessa alla restituzione di tutti gli importi trattenuti nel corso degli anni, oltre interessi e rivalutazione maturati.
Le implicazioni di questo orientamento giurisprudenziale riverberano i loro effetti, non soltanto sulle eventuali moratorie che il professionista sanitario dovesse ricevere dalla sua Azienda a titolo di rimborso di somme liquidate in passato, ma anche nella gestione corrente delle liquidazioni dei compensi che, per tali motivi, dovranno esser sempre opportunamente verificate per individuare, fin da subito, possibili decurtazioni a titolo di trattenute illegittimamente applicate dall’Azienda.
In questi casi, dovrà poi seguire la predisposizione, con l’ausilio di un esperto di Diritto del Lavoro in ambito sanitario pubblico, di una lettera di formale contestazione da inoltrare all’amministrazione dell’Azienda per denunciare l’illegittimità del criterio di calcolo applicato, con relativa domanda di restituzione del dovuto, confidando che questo sia sufficiente per un bonario componimento della questione senza dover ricorrere all’azione giudiziaria.