La questione nasce dall’evidente disparità di trattamento che, a seguito dell’adozione del cd. “Decreto Salva Italia” (D.L. n. 201/2011) e dei provvedimenti legislativi successivamente intervenuti, si è venuta a creare fra i dipendenti privati e quelli pubblici sui tempi di erogazione del TFR.
Questo emolumento rappresenta quella somma di denaro che il datore di lavoro, sia pubblico che privato, deve liquidare al dipendente al momento della cessazione del rapporto lavorativo per raggiungimento dell’età pensionabile, per dimissioni o per licenziamento.
Il TFR costituisce una quota dello stipendio che, di fatto, viene mensilmente trattenuta ed accantonata secondo criteri specificatamente indicati dalla normativa di riferimento, il cui pagamento viene quindi differito ad un momento successivo.
L’erogazione del TFR segue tempistiche differenti che si rifanno, in linea di massima, ai diversi termini stabiliti dai vari Contratti Collettivi Nazionali che regolamentano le singole categorie di lavoratori.
Nel settore privato, l’erogazione del TFR avviene generalmente con la liquidazione dell’ultima busta paga (tranne i casi in cui il lavoratore abbia scelto di destinare la quota ad un Fondo Complementare o debba essere attivato il Fondo Tesoreria Inps) entro 45 giorni dalla cessazione del rapporto lavorativo, mentre nell’area pubblica questi termini risultano significativamente più alti, fino ad arrivare addirittura ad un massimo di due anni.
Il TFR compete automaticamente a tutti i dipendenti pubblici assunti dopo il 31/12/2000, mentre per coloro che sono stati assunti prima di questa data si applica il diverso sistema del TFS.
L’erogazione del TFR per i dipendenti pubblici che sono cessati dal rapporto prima del 31/12/2017, avviene secondo le seguenti modalità:
Per coloro che, invece, hanno cessato il loro rapporto di lavoro a decorrere dall’1/01/2018, il TFR viene liquidato:
Per i dipendenti pubblici, i termini di liquidazione del TFR risultano differenti a seconda delle cause che hanno portato allo scioglimento del rapporto di lavoro, per cui potrà essere erogato:
Da ricordare che, a questi termini, deve generalmente aggiungersi un ulteriore periodo di 90 giorni concessi dalla normativa per la gestione dell’istruttoria fino alla conclusione della procedura.
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L’evidente disparità di trattamento fra pubblico e privato è stata fatta oggetto di diverse iniziative giudiziali, soprattutto allorché la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 159 del 2019, ha messo in evidenza alcune criticità rispetto all’attuale quadro normativo, soprattutto riguardo al differimento del trattamento di fine rapporto in caso di pensione raggiunta per limiti di età o di servizio o per collocamento a riposo d’ufficio.
In quel caso veniva censurato il pagamento differito e rateale dei trattamenti di fine servizio, a qualsiasi titolo, spettanti ai dipendenti pubblici siccome deteriore rispetto ai lavoratori privati, che invece ricevono il pagamento senza dilazioni di sorta, con conseguente violazione del principio di eguaglianza, sancito dall’art. 3 della Costituzione, e del diritto al percepimento di una retribuzione proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavoro svolto, previsto dall’art. 36 della Costituzione.
Pur ritenendo legittima la scelta di inserire modalità di pagamento differito e dilazionato del TFR ai dipendenti pubblici che vanno in pensione anticipata, così risolvendo la specifica questione sollevata, la Corte ha comunque osservato che l’analoga disciplina prevista in caso di cessazione del rapporto di lavoro dovuta al raggiungimento dei limiti di età e di servizio, o di collocamento a riposo d’ufficio a causa del raggiungimento dell’anzianità massima di servizio, non sia sostenibile.
In questo senso, si deve quindi leggere l’aperta critica mossa dalla Corte Costituzionale allorché afferma che “La disciplina che ha progressivamente dilatato i tempi di erogazione delle prestazioni dovute alla cessazione del rapporto di lavoro ha smarrito un orizzonte temporale definito e la iniziale connessione con il consolidamento dei conti pubblici che l’aveva giustificata. Con particolare riferimento ai casi in cui sono raggiunti i limiti di età e di servizio, la duplice funzione retributiva e previdenziale delle indennità di fine rapporto rischia di essere compromessa, in contrasto con i princìpi costituzionali che, nel garantire la giusta retribuzione, anche differita, tutelano la dignità della persona umana”.
Dopo questa significativa apertura, si è quindi registrata l’ulteriore iniziativa, in questo caso del Giudice amministrativo, che ancora di recente (Tar Lazio, ordinanza del 17/05/2022) ha sollevato nuova questione di legittimità costituzionale della normativa che, prevedendo pagamenti rateizzati e dilazionati, conduce ad una compressione “irragionevole e sproporzionata i diritti dei lavoratori pubblici, in violazione dell’art. 36 Cost., non essendo sorretta dal carattere contingente, ma al contrario avendo carattere strutturale”.
La parola alla Corte per la risposta definitiva.
Come già riferito il TFR deve essere liquidato al dipendente privato al momento della cessazione del rapporto di lavoro, ovvero nel diverso termine eventualmente previsto dal Contratto Collettivo applicabile al rapporto, mentre per quello pubblico (e fintanto che la relativa disciplina non verrà modificata dal Legislatore o diversamente apprezzata dalla Corte Costituzionale) con le modalità e nel rispetto dei termini concessi all’ente previdenziale preposto all’erogazione.
Qualora il termine così stabilito non venga rispettato, il lavoratore potrà procedere con apposita diffida a mezzo Pec o raccomandata r.r. richiedendo, oltre all’importo del TFR, anche gli interessi e la rivalutazione monetaria maturati, cui aggiungere il risarcimento degli ulteriori danni eventualmente patiti (nei limiti di quanto allegato e congruamente provato). Il diritto fatto valere in giudizio è soggetto alla prescrizione quinquennale ex art. 2948, comma 5, c.c. a decorrere dalla data di cessazione del rapporto di lavoro.