I presupposti per la domanda di rimborso della retta di ricovero RSA per malati di Alzheimer

Un numero, purtroppo sempre più cospicuo, di persone affette da patologie gravi (Alzheimer nel caso specifico) devono essere necessariamente ricoverate presso strutture RSA, con conseguente esborso dei relativi costi, spesso a carico dei parenti più prossimi o dell’amministrazione di sostegno, qualora nominata.

Il problema del rimborso della retta di ricovero RSA per malati di Alzheimer

La questione che ancora oggi si dibatte fra le parti dei vari contenziosi nazionali, malgrado i costanti pronunciamenti giudiziali a favore dell’utenza, è la seguente: quando una persona affetta da Alzheimer o demenza senile viene ricoverata presso una Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA) comunale o, comunque convenzionata con Sistema Sanitario, questi enti possono richiedere il pagamento della retta (in toto o pro quota) al malato o ai suoi congiunti?

Le indicazioni della giurisprudenza di legittimità

I giudici del Supremo Collegio che, nel corso degli anni, si sono interessati di questa problematica hanno sostanzialmente ribadito alcuni principi comunemente accolti, tra cui i seguenti:

1) per avere accesso alla richiesta di rimborso, è necessario che la persona ricoverata sia affetta da una forma accertata di grave demenza (Cass. n. 22776/16);

2) per avere accesso alla richiesta di rimborso, non è necessario che il soggetto sia ricoverato in una struttura che, secondo le disposizioni di cui alla legge n. 833 del 1978, fornisce assistenza tesa al mantenimento e al recupero della salute del malato;

3) per avere accesso alla richiesta di rimborso è necessario che il ricoverato abbia bisogno di “prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria”.

Di fatto, la sentenza n. 4558 del 22 marzo 2012 ha, per prima, stabilito che la retta deve rimanere a carico del Servizio Sanitario Nazionale a condizione che il malato necessiti effettivamente di prestazioni sanitarie.

Ciò significa che, per aversi diritto a non pagare (ovvero, qualora si tratti di rette già erogate, al rimborso di quanto indebitamente percepito dagli enti) è necessario che, oltre alle prestazioni socio-assistenziali, risultino erogate anche quelle sanitarie, che devono costituire il fulcro della prestazione fornita al soggetto ricoverato.

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Trattandosi di principi garantiti dal presidio costituzionale dell’art. 32, questa pronuncia ha quindi osservato che “l’attività prestata in favore di soggetto gravemente affetto da morbo di Alzheimer ricoverato in istituto di cura è qualificabile come attività sanitaria, quindi di competenza del Servizio Sanitario Nazionale, ai sensi dell’art. 30 della legge n. 730 del 1983, non essendo possibile determinare le quote di natura sanitaria e detrarle da quelle di natura assistenziale, stante la loro stretta correlazione, con netta prevalenza delle prime sulle seconde”. Secondo questa pronuncia ne consegue che, nel caso in cui le prestazioni di natura sanitaria non possano essere eseguite “se non congiuntamente” alla attività di natura socioassistenziale, cosicché non sia possibile discernere il rispettivo onere economico, deve sempre prevalere la natura sanitaria del servizio, in quanto le altre prestazioni di altra natura debbono ritenersi avvinte alle prime da un nesso di strumentalità necessaria, essendo dirette alla “complessiva prestazione” che deve essere erogata a titolo gratuito, dimostrata la natura inscindibile ed integrata della prestazione.

Ancora di recente, con la sentenza n. 13714/2023, la Corte di Cassazione ha voluto chiaramente ribadire come non si possa operare alcuna distinzione delle prestazioni sanitarie erogate dalla struttura rispetto alla componente alberghiero-assistenziale, poiché il criterio rimane sempre quello “della integrazione tra le prestazioni, ovvero della unitaria ed inscindibile coesistenza dei due aspetti della prestazione, che ne produce l’integrale addossamento degli oneri economici sul Servizio Sanitario Nazionale”. Pertanto, nell’individuazione dell’eventuale discrimine fra le distinte prestazioni, non deve farsi riferimento alla tipologia di struttura ma esclusivamente alle condizioni effettive del malato, per valutare se il piano terapeutico personalizzato risulti effettivamente necessario “in relazione alla patologia della quale risultava affetto (morbo di Alzheimer), dello stato di evoluzione al momento del ricovero e della prevedibile evoluzione successiva della suddetta malattia, di un trattamento sanitario strettamente e inscindibilmente correlato con l’aspetto assistenziale perché volto, attraverso le cure, a rallentare l’evoluzione della malattia e a contenere la sua degenerazione, per gli stati più avanzati, in comportamenti autolesionistici o potenzialmente dannosi per i terzi”.

La normativa applicabile e l’interpretazione dei giudici di merito

Il malato non autosufficiente, che viene ricoverato presso una struttura RSA, ha quindi accesso ad alcune prestazioni, definite socio-sanitarie integrate, che risultano disciplinate dall’art. 3, septies, del D.Lgs. n. 502/1992, da leggersi in combinato disposto con il DPCM 14.02.2001, a cui è subentrato il DCPM 12.01.2017.

Queste prestazioni vengono distinte in:

  • prestazioni sanitarie a rilevanza sociale di competenza e a carico delle aziende sanitarie locali;
  • prestazioni sociali a rilevanza sanitaria sono di competenza e a carico dei comuni con la compartecipazione alla spesa dell’utenza;
  • prestazioni socio-sanitarie a elevata integrazione sanitaria erogate e a carico del Fondo Sanitario nazionale.

Con riferimento a questa disciplina normativa si è espresso, alcuni anni fa, il Tribunale di Monza allorché, nella sentenza n. 617/17, ha ribadito che i malati di Alzheimer e le persone affette da demenza senile in stato avanzato hanno sempre bisogno di prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria, con l’effetto che per loro tutta la spesa è a carico del Servizio Sanitario.

Anche il Tribunale di Roma (sentenza n. 12180/18) ha ribadito che il costo è integralmente a carico delle AUSL, venendo in rilievo prestazioni di natura squisitamente sanitaria.
Molto interessante una pronuncia resa dalla Corte di Appello di Trieste (n. 641/18) che, davanti ad un caso di malato affetto da Alzheimer e da altre patologie gravi, ha condannato la casa di riposo a restituire ai figli quanto era stato pagato per il defunto genitore a titolo di retta di ricovero per una somma superiore agli 80 mila euro. Addirittura, si afferma in questa pronuncia che non si possono suddividere le prestazioni rese (per l’Alzheimer e le altre), dovendole considerare tutte a carico del SSN siccome avvinte dalla medesima funzione sanitaria e di cura del malato. Ne consegue allora che soltanto nel caso in cui si venga effettivamente dimostrato che, nel caso concreto, la prestazione socioassistenziale fornita al paziente affetto da Alzheimer non sia inscindibilmente legata alla prestazione sanitaria, sarà corretto che parte della retta di degenza venga posta a carico del paziente: diversamente questa non sarà dovuta né dal malato, dagli stretti congiunti, né tantomeno da coloro che si dovessero impegnare in tal senso.

Benché la giurisprudenza sia ancora piuttosto oscillante nell’individuazione del soggetto tenuto al pagamento (AUSL, Regione o in parte anche il Comune), il punto ormai irretrattabile è che, quando le prestazioni fornite hanno una prevalenza sanitaria rispetto a quella assistenziale, il costo deve rimanere a carico del SSN, con conseguente possibilità per coloro che hanno sostenuto la spesa (anche pro quota) di poterla richiedere al soggetto che l’abbia indebitamente percepita.

L’azione di rimborso delle quote già pagate

Ricorrendone i presupposti, l’azione diretta al recupero delle somme eventualmente erogate (e non dovute) per l’assistenza del paziente deve essere presentata, mediante il patrocinio di un legale esperto in materia coadiuvato da un medico-legale, innanzi al Tribunale ordinario civile competente, avendo cura di produrre in giudizio la certificazione attestante la patologia del malato, l’autorizzazione al ricovero in RSA, la dichiarazione di soggiorno in RSA ed, infine, le ricevute dei pagamenti effettuati per conto del soggetto ricoverato. Sarà poi opportuno valutare se avanzare istanza di ammissione delle Consulenza Tecnica d’Ufficio volta a dimostrare l’effettivo stato clinico del degente e la natura delle prestazioni di cui necessitava durante il ricovero presso la struttura.  L’azione può essere intrapresa sia dal malato (qualora ancora dotato di capacità d’agire), sia dai soggetti cui è stata conferita la tutela, sia infine dai familiari (qualora siano a loro carico gli esborsi sostenuti). La prescrizione dell’azione è decennale trattandosi di ripetizione di indebito ex art. 2033 c.c.

 

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