È sempre più frequente imbattersi in direttive impartite da responsabili organizzativi dell’Azienda per cui si lavora che, oltre ad incidere il più delle volte impropriamente su rilevanti istituti contrattuali del comparto sanitario, risultano spesso gravemente carenti sia sotto un profilo formale che contenutistico, lasciando il personale destinatario nel dubbio circa la legittimità o meno dell’ordine ricevuto, con ovvie ripercussioni sulla corretta condotta da attuare per evitare sanzioni di natura disciplinare.
A differenza del rapporto di lavoro autonomo, quello subordinato implica l’assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo, disciplinare, direttivo e di controllo esercitati dal datore, pubblico o privato che sia. L’ordine di servizio in questo contesto è dunque il comando con cui il datore di lavoro, anche per il tramite di un altro soggetto, esercita il proprio potere direttivo finalizzato al buon andamento dell’attività lavorativa.
Il lavoratore subordinato svolge la propria prestazione secondo le istruzioni, gli ordini e le indicazioni ricevute dalla parte datoriale, a cui risulta assoggettato. L’ordine di servizio può consistere nell’impartire una specifica indicazione comportamentale riguardo ad una determinata attività, ovvero nel vietare una certa condotta, e può essere indirizzata ad un singolo dipendente oppure ad una pluralità di soggetti o a tutto il personale.
L’ordine di servizio deve rivestire una forma scritta ed è necessario che venga portato a conoscenza del legittimo destinatario in una modalità che garantisca effettivamente la conoscibilità del suo contenuto e attesti l’avvenuta ricezione da parte del destinatario.
Per ragioni di indifferibile urgenza, l’ordine di servizio può essere impartito anche oralmente (ad es. via telefono), sempreché abbia ad oggetto una prestazione che rientra pacificamente fra quelle a cui il dipendente risulta adibito, ma all’utilizzo di questa modalità deve poi seguire l’adozione della forma scritta non appena le condizioni consentano al preposto di rispettare l’adempimento formale.
In ogni caso è necessario che venga indicata sempre la data in cui viene emesso e, possibilmente, il numero di protocollo aziendale assegnato. Inoltre, dovrà essere regolarmente sottoscritto dal datore di lavoro o dal soggetto che detiene effettivamente il potere direttivo nello specifico settore ai fini dell’ assunzione di responsabilità.
La forma consente al lavoratore ed eventualmente al giudice in caso di contenzioso, di verificare l’effettiva ricorrenza dei requisiti necessari per l’adozione di questo strumento da parte del datore.
Proprio per le sue caratteristiche di impatto sull’ordinaria prassi lavorativa, l’adozione dello strumento dell’ordine di servizio deve rivestire carattere di eccezionalità rispetto alle consuete modalità di esercizio del potere direttivo da parte del datore di lavoro e dei suoi preposti. Oltre ai requisiti formali già indicati l’ordine di servizio deve presentare le seguenti ulteriori caratteristiche di contenuti utili anche ai fini di un reale e concreto controllo di legittimità:
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Un ordine di servizio può risultare illegittimo ogni qual volta sia privo dei requisiti di forma e di sostanza previsti dalla legge, nonché nei casi in cui sia contrario alle previsioni contrattuali individuali, a quelle stabilite dalla contrattazione collettiva, ovvero alla disciplina normativa vigente in un determinato settore.
La questione maggiormente dibattuta in giurisprudenza riguarda la condotta che il lavoratore può assumere di fronte ad un ordine di servizio che, ad una prima sommaria valutazione personale, sia considerato illegittimo. In questi casi, vengono in rilievo due opposti interessi che devono essere sempre apprezzati secondo prudenziali criteri di bilanciamento: da un lato, la possibilità per il lavoratore dipendente di non rispettare un ordine od una direttiva contrastante con la normativa legale o pattizia, senza incorrere in sanzioni disciplinari, e dall’altro quello datoriale di organizzare il lavoro secondo le prerogative ritenute più opportune al raggiungimento degli obiettivi preposti.
La Corte di Cassazione ha affermato che il dipendente non può, in linea di principio, rifiutare la prestazione richiesta, neppure quando questa sia oggetto di un ordine di servizio illegittimo, essendo obbligato a conformarsi alle disposizioni datoriali, come previsto dall’art. 2086 e 2104 del Codice civile. In via d’eccezione, potrà legittimamene rifiutarsi di eseguire l’ordine soltanto quando il datore di lavoro sia gravemente inadempiente alle proprie obbligazioni, ovvero nel caso in cui dalla sua esecuzione potrebbe derivare la realizzazione di un reato oppure di una condotta contraria a quelle generalmente previste nell’ambito di una corretta gestione del rapporto lavorativo.
È però da sottolineare che, secondo un orientamento giurisprudenziale, la facoltà del dipendente di non eseguire un ordine richiede, oltre alla palese illegittimità dell’ordine, che questi non si limiti a un mero rifiuto, ma concreti le sue motivate obiezioni, comunicandole al superiore da cui proviene l’ordine ritenuto illegittimo. L’esecuzione di un ordine impartito dal superiore gerarchico non vale a scriminare la condotta del dipendente, ove questi sia in grado di rendersi pienamente conto della illegittimità dell’indicazione ricevuta, per cui ben dovrà opporsi alla sua esecuzione per non incorrere nel rischio di subire una sanzione impartita dal datore di lavoro.
Ritenere di essere al riparo da ogni responsabilità per aver eseguito un ordine ricevuto da un superiore gerarchico non è mai una buona soluzione, avendo la giurisprudenza più volte affermato che non esiste un obbligo incondizionato del pubblico dipendente di eseguire le disposizioni, ivi incluse quelle derivanti da atti di organizzazione, impartite dai superiori o dagli organi sovraordinati, posto che il dovere di obbedienza incontra un limite nella ragionevole obiezione circa l’illegittimità dell’ordine ricevuto.
L’ordine di servizio che palesi profili di illegittimità deve essere pertanto tempestivamente contestato dal dipendente inoltrando, con l’ausilio di un legale specializzato in diritto del lavoro, formale diffida al datore con la quale si richiederà la revoca del provvedimento e la rimozione delle sue conseguenze.
L’eventuale rigetto e comunque tutte le volte che le circostanze lo consentono, si potrà impugnare l’ordine di servizio ritenuto illegittimo dinnanzi alla Sezione Lavoro del Tribunale ordinario territorialmente competente, ricorrendo allo strumento del ricorso d’urgenza previsto dall’art. 700 del Codice di procedura civile così da ricevere una tutela immediata dei propri interessi.
La decisione del magistrato potrà, in caso positivo, annullare l’ordine di servizio illegittimo, ordinando al datore di lavoro il ripristino della situazione antecedente.
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