La Corte di Cassazione delinea i presupposti per il riconoscimento di una maggiore retribuzione

Nel caso di specie, veniva impugnata dal dipendente la sentenza della Corte di appello che, dopo un primo grado favorevole, aveva negato il riconoscimento ai fini economici delle mansioni superiori svolte alle dipendenze della propria azienda sanitaria.

A questa conclusione, la Corte era pervenuta fondando la propria argomentazione sull’interpretazione fornita dell’art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, secondo cui il diritto al trattamento economico corrispondente alla qualifica superiore richiede in ogni caso un provvedimento formale di assegnazione alle mansioni superiori, anche se illegittimo, nullo o annullabile, fattispecie molto diversa da quella della mancanza di un simile atto amministrativo.

La Corte territoriale ritiene, quindi, necessario un atto formale di assegnazione per il quale si richiede la forma scritta ad substantiam e che, nella specie, manca.

Con il primo motivo, il dipendente ha quindi denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, nonché dell’art. 28 del CCNL Comparto Sanità 1998-2001 mentre, con il secondo, la  contraddittoria motivazione su un punto determinante della controversia.

In buona sostanza, il ricorrente sostiene di aver svolto le mansioni superiori rispetto alla propria qualifica per molto tempo, fornendo di ciò idonea e conferente prova, anche documentale, così da doversi ritenere maturato il diritto a percepire le corrispondenti differenze retributive.

Esprimeva allora pieno dissenso rispetto all’argomentazione fornita dalla Corte di Appello, per cui il riconoscimento delle stesse avrebbe richiesto, quale presupposto necessario, un atto formale di assegnazione in forma scritta, invero mancante.

La Corte di Cassazione ha quindi accolto il motivo di censura sollevato dal dipendente ricorrente richiamando, nell’iter motivazionale sotteso alla recente pronuncia (Cass. Civ. Sez. Lav. n. 14808/2020), i seguenti principi:

  1. “in materia di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, da riconoscere nella misura indicata nell’art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi, né all’operatività del nuovo sistema di classificazione del personale introdotto dalla contrattazione collettiva, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 Cost.” (vedi, per tutte: Cass. 18 giugno 2010, n. 14775; Cass. 7 agosto 2013, n. 18808; Cass. 24 gennaio 2019, n. n. 2102);
  2. “il diritto a percepire la retribuzione commisurata allo svolgimento, di fatto, di mansioni proprie di una qualifica superiore a quella di inquadramento formale, ex art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, non è condizionato alla legittimità, né all’esistenza di un provvedimento del superiore gerarchico, e trova un unico limite nei casi in cui l’espletamento sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente, oppure quando sia il frutto di una fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente, o in ogni ipotesi in cui si riscontri una situazione di illiceità per contrasto con norme fondamentali o generali o con principi basilari pubblicistici dell’ordinamento” (Cass. 29 novembre 2016, n. 24266).

In buona sostanza, la Corte conferma quell’indirizzo giurisprudenziale che, in tema di riconoscimento economico di differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori alla propria qualifica, volge il suo sguardo più all’effettività della prestazione lavorativa del dipendente, che al rispetto di inconcludenti formalismi spesso deficitari nella gestione delle prassi amministrative.

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