In questo periodo di profondo turbamento del nostro Paese, dovuto a due anni di diffusione del Covid-19 che mette a rischio ogni giorno la nostra salute e la nostra tranquilla, assume più che mai particolare rilievo la tutela della salute dei lavoratori che prestano servizio in ambito sanitario e non solo. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riacceso i fari e la speranza sulla possibilità di risarcimento per chi ha perso la vita, durante la prestazione di lavoro e a causa del forte stress. La fattispecie presa in esame demanda al caso riguardante il lavoratore che, in viaggio per lavoro, è rimasto vittima di un infarto. Se un viaggio di lavoro causa l’infarto da stress al lavoratore, e il caso è configurabile come infortunio sul lavoro essendo eziologicamente collegato ad un fattore lavorativo, va risarcito. A stabilirlo è stata la Corte di Cassazione, sezione Lavoro, nella sent. del 22 febbraio 2022 n. 5814.
E se un medico o un professionista sanitario, oppure un lavoratore in generale, è sottoposto a turni massacranti, tali da provocare il cosiddetto ‘burnout’? E se la pandemia ha vessato il personale medico, in modo tale da indurlo ad avere malori anche di una certa gravità? È possibile applicare la logica giuridica già utilizzata nel caso di cui è stata citata pronuncia?
La Corte di Cassazione, nel caso esaminato, riformando la sentenza di merito, ha affermato che la fattispecie in disputa configura l’infortunio in itinere, richiamando quella giurisprudenza per cui la tutela assicurativa deve intendersi estesa “a qualsiasi infortunio verificatosi lungo il percorso da casa al luogo di lavoro ed esclude qualsiasi rilevanza all’entità del rischio o alla tipologia della specifica attività lavorativa cui l’infortunato sia addetto”, con esclusione soltanto di quegli episodi in cui il lavoratore “crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella tipica legata al c.d. percorso normale, così da realizzare una condotta interruttiva di ogni nesso tra lavoro-rischio ed evento”.
La disamina della pronuncia della Cassazione in questione, ci induce ad una risposta che potrebbe essere affermativa. Le motivazioni addotte sono diverse:
Questi i principali motivi per cui costituisce “infortunio indennizzabile” l’infarto dovuto allo stress subito dal dipendente nel corso di un viaggio di lavoro. Motivi totalmente compatibili con l’infortunio sul lavoro in caso da stress lavorativo applicabile ad ogni categoria di lavoratore.
Prescindendo dall’analisi della Corte di Cassazione appena effettuata, urge fare importanti premesse e comprendere come viene intesa la tutela della salute del lavoratore – chiunque esso sia – nel nostro ordinamento giuridico.
A livello costituzionale, la tutela della persona umana nella sua integrità psico-fisica come principio assoluto ai fini della predisposizione di condizioni ambientali sicure e salubri è prevista dall’art. 2. La salute, però, non va intesa solo come diritto dell’individuo ma è anche e soprattutto interesse della collettività, tale da intendersi anche come limite al libero esercizio dell’iniziativa economica privata e per questo rientra nella tutela prevista e sancita ai sensi degli art. 32 e 42 Cost. Se questi sono i principi fondamentali, il necessario corollario è contenuto nell’art. 2087 c.c. che impone la massima sicurezza fattibile sul luogo di lavoro e il correlato obbligo di ricorrere alla migliore scienza ed esperienza per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, attribuendo al datore di lavoro una funzione di garanzia in ordine alla concreta realizzazione della tutela della salute e della sicurezza stessa del singolo lavoratore. Quanto appena menzionato, è ulteriormente confermato del D.Lgs. 81/2008 che all’art. 2 prevede l’obbligo di predisporre non soltanto misure strettamente tecniche, ma ogni comportamento che sia idoneo a evitare il verificarsi del rischio presente in azienda, anche di natura organizzativa. Ancor prima, l’art. 3 dell’Accordo Europeo dell’8 ottobre 2004 aveva previsto il danno da stress lavorativo identificato come situazione di prolungata tensione che determina un peggioramento dello stato di salute.
Con l’avvento della pandemia, il Legislatore ha operato un importante intervento legislativo in materia con particolare riguardo agli infortuni sul lavoro. Nel quadro di misure eccezionali introdotte dal Governo per fronteggiare la situazione pandemica, il D.L. 18/2020 c.d. “Decreto Cura Italia” è intervenuto con una specifica disposizione riguardante un’immediata tutela economica ai lavoratori in caso di effettivo contagio da Covid. Inoltre, l’art. 42 comma 2 rubricato “Disposizioni INAIL” equipara i casi di accertata infezione da Covid-19 in ambito lavorativo all’accertamento di ogni altro evento infortunistico ai fini dell’erogazione delle prestazioni INAIL. Una successiva circolare INAIL, la n. 13/2020 relativa ai medici, agli infermieri e ad altri operatori sanitari in genere, dichiara che sono da considerarsi infortuni sul lavoro, quegli episodi “laddove sia accertata l’origine professionale del contagio, avvenuto nell’ambiente di lavoro, oppure per causa determinata dallo svolgimento dell’attività lavorativa”. Ed è stato, inoltre, precisato che nei casi in cui non fosse possibile stabilire né provare in quale occasione sia avvenuto il contagio, si può presumere (quindi senza necessità di provare) che lo stesso si sia verificato sul posto di lavoro, in considerazione delle mansioni del dipendente contagiato e di ogni eventuale altro indizio. Considerando, in ambito sanitario, che il fenomeno dei “turni massacranti” e “burnout” che ha colpito gli operatori sanitari si è verificato soprattutto durante le fasi dell’emergenza pandemica, già questo potrebbe bastare a considerare le conseguenze rientranti tra i casi di risarcibilità per infortunio sul lavoro. Una tesi, oggi, avvalorata e conclamata anche dalle pronunce giurisprudenziali sopra citate che chiariscono in maniera effettiva e dettagliata una logica giuridica applicabile anche in ambito sanitario.
Già nel 2016 con la sentenza n. 5590 del 22 marzo 2016, la Corte di Cassazione aveva stabilito i requisiti essenziali per far sorgere il diritto al risarcimento del danno causato da stress lavorativo:
È ovvio che con l’emergenza pandemica, il tutto viene accentuato e i principi sono rimodulati alla luce della tutela dell’integrità psico-fisica dei lavoratori e alla correlazione causa-effetto tra danno e attività professionale, come descritto sopra e rientrante tra i casi di infortunio sul lavoro, applicabili a qualsiasi categoria di lavoratore. È quindi legittima la richiesta di risarcimento danno per conseguenze causate stress lavorativo. Sul punto, rimane costante l’aggiornamento del team legal Consulcesi & Partners, pronto a supportare il personale sanitario in queste battaglie, garantendo un’assistenza puntuale e qualificata che possa rispondere alle esigenze di ogni cliente.