Il panorama delle sentenze favorevoli alla richiesta di pagamento dell’indennizzo per le ferie non godute si arricchisce di un nuovo capitolo: la condanna per lite temeraria per l’Azienda, in questo caso sanitaria, che si oppone al pagamento senza adeguata giustificazione.
È quello che è recentemente accaduto davanti al Tribunale di Fermo che, con sentenza n. 88/2025 del 15 aprile scorso, dopo aver respinto tutti i tentativi di difesa della struttura, l’ha poi condannata anche al risarcimento per aver colpevolmente dilatato i tempi di giustizia.
Presentato ricorso per decreto ingiuntivo per il riconoscimento dell’indennità sostitutiva delle ferie non godute nel corso del rapporto di lavoro, il dirigente medico notificava l’ingiunzione emessa a suo favore per ottenere la liquidazione del dovuto.
L’azienda sanitaria, anziché procedere al pagamento, presentava opposizione assumendo che le ferie non potevano essere monetizzate in caso di dimissioni, non risultando peraltro dimostrata la responsabilità datoriale per il mancato godimento.
Inoltre, trattandosi di aspettativa semestrale concessa su richiesta dell’ex dipendente, poi dimessosi volontariamente, assumeva come, in ogni caso, il breve lasso di tempo fra questa domanda e l’inizio del periodo di cessazione del periodo lavorativo non aveva comunque consentito un programmato smaltimento del periodo di ferie, né il lavoratore avrebbe spiegato le esigenze di servizio che ne avrebbero impedito la fruizione.
Costretto alla costituzione in giudizio, il dirigente medico ribatteva che non solo l’azienda non aveva documentato di averlo invitato al godimento delle ferie, ma che tale opportunità gli era stata sempre negata per carenze di organico.
La Sezione lavoro del Tribunale di Fermo, valutate le opposte argomentazioni, ha rapidamente tratto le sue conclusioni, ritenendo la causa pronta per essere immediatamente decisa sulla sola scorta delle allegazioni e produzioni documentali offerte dalle parti, non aprendo l’istruttoria all’invocata prova testimoniali, ritenute superflue.
Dai documenti acquisiti agli atti è quindi emerso che il medico, già dipendente dell’Azienda sanitaria, aveva ricoperto per diversi anni il ruolo di dirigente, per poi assumere lo status di responsabile di U.O.S. fino a quando, ricevuto l’incarico quinquennale di direttore medico di una U.O.C. appartenente ad altra struttura, veniva collocato in aspettativa per sei mesi.
Presentate dimissioni volontarie al termine del semestre, il sanitario richiedeva il pagamento di circa 30 giorni di ferie, non potute godere durante il servizio per esigenze organizzative dell’azienda.
Ricordata l’irrinunciabilità del diritto alle ferie, presidiato dall’art. 36 Cost. e dall’art. 7 della direttiva 2003/88/CE, il Tribunale di Fermo ha così ricordato che, secondo il consolidato insegnamento della CGUE, deve ritenersi contrario a principi fondamentali dell’Unione qualsiasi normativa nazionale secondo la quale il lavoratore, che non ha richiesto di poter fruire le ferie arretrate prima della cessazione del rapporto di lavoro, perderebbe automaticamente il suo diritto, senza prima verificare che il datore lo abbia effettivamente posto nelle condizioni di esercitarlo con un’adeguata informazione.
Come ormai ampiamente risaputo, l’azienda è infatti tenuta ad assicurarsi in modo proattivo ed in piena trasparenza che il suo dipendente sia realmente in condizione di godere del previsto periodo di riposo invitandolo, se necessario formalmente, a farlo e nel contempo invitandolo in modo accurato ed in tempo utile a garantire che tali ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte, avvisandolo anche del fatto che, se non ne fruisce, verranno definitivamente perdute.
Posta davanti al suo onere probatorio, il Giudice ha quindi osservare come l’Azienda non solo non avesse dimostrato di aver adeguatamente programmato, in concomitanza con l’accoglimento della richiesta aspettativa, lo smaltimento dei giorni di ferie arretrati, invitandolo il medico a fruirne, ma risulta risultassero pregresse richieste di ferie, non autorizzate per ragioni di servizio imputabili alla stessa parte datoriale.
I documenti presenti in atti confermavano allora che il mancato godimento delle ferie era dovuto ad esigenze organizzative dell’azienda per cui, non avendo fornito la prova a suo carico, il Tribunale ha respinto l’opposizione presentata, condannandola al pagamento dell’indennizzo, già quantificato nel decreto ingiuntivo, di euro 7.476,60 per i 30 giorni residuati, oltre al rimborso delle spese legali sostenute per euro 2.980,00, con riconoscimento delle spese generali del 15% ed accessori di legge.
Il Giudice del lavoro non si è però fermato alla sola condanna per le ferie non godute, ma ha voluto rincarare la dose sanzionandola anche per lite temeraria. Questo, ritenendo, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., gravemente colposa la decisione dell’azienda di opporsi alla richiesta di pagamento, contenuta nel decreto ingiuntivo, atteso come tutta la documentazione prodotta fosse, già di per sé, univoca nel dimostrare sia l’entità dei giorni di ferie arretrati, sia l’imputabilità all’organizzazione aziendale della mancata fruizione durante il servizio.
Da qui, duplice conseguenza:
Questa pronuncia mette definitivamente in luce due aspetti fondamentali.
Il primo concerne il regime della prova: l’onere è sempre a carico dell’azienda e non del dipendente, ma può risultare assolutamente decisivo che, durante il servizio, si tenga traccia delle richieste di ferie presentate, avendo cura di conservare le risposte, foss’anche informali, con cui l’Azienda ha inteso negare l’accesso al diritto per motivi di organico.
Inoltre, non pare più tollerabile l’atteggiamento di quelle Aziende sanitarie che, pur consapevoli di non poter contare su prove documentali a proprio favore, oppongono ragioni fumose e dilatorie, che di fatto portano a giustificare la condanna al risarcimento del danno per lite temeraria.
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