Il Trattato dell’Unione Europea garantisce la libera circolazione dei lavoratori e, in particolare, disciplina il diritto di stabilimento che si configura, fra le altre ipotesi, ogni volta in cui un professionista qualificato intende esercitare la propria professione in uno Stato membro diverso da quello in cui ha ottenuto la qualifica professionale.
Ogni Stato appartenente all’Unione Europea può, però, vincolare l’accesso all’esercizio della professione al possesso di una qualifica professionale specifica che, variando a seconda dei rispettivi ordinamenti, potrebbe essere ritenuta non sufficiente per il Paese in cui il professionista intende stabilirsi per esercitarla.
La disciplina per l’ottenimento di questa certificazione è assoggettata ad un quadro normativo che prende le mosse dalla Direttiva 2005/36/CE, così come integrata dalla Direttiva 2006/100/CE, così come trasposte nel nostro ordinamento dal Decreto Legislativo 9 novembre 2007 n. 206 e successive modificazioni.
Chi vuole esercitare una professione sanitaria in Italia con un titolo acquisito in un Paese estero, deve effettuare una procedura per il riconoscimento attraverso gli uffici competenti del Ministero della Salute.
Il riconoscimento segue la logica dell’equipollenza per cui, attraverso la comparazione dei programmi di studio previsti secondo gli ordinamenti esteri e quelli stabiliti per l’analogo percorso in Italia, nonché la valutazione della situazione specifica del richiedente, si mira a verificare il raggiungimento di quel livello di competenze che consente l’emissione del decreto di riconoscimento ministeriale.
La procedura amministrativa prevede la presentazione della domanda corredata dall’originale del titolo di studio acquisito all’estero con relativa traduzione.
A seconda della richiesta, è possibile che si renda necessario produrre anche della specifica documentazione informativa sul titolo di studio conseguito all’estero, come ad esempio i programmi formativi, gli estratti degli esami conseguiti e tutto ciò che possa descrivere più compiutamente il percorso formativo che ha portato il richiedente a conseguire il titolo di cui si invoca l’equipollenza.
Dopo l’inoltro della domanda presso l’Ente competente, viene attivata la successiva procedura istruttoria di valutazione che dovrà essere, come precisato anche nelle sentenze 18 e 22 del 2022 rese dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, rigorosamente e tempestivamente attuata. Le verifiche potranno essere sia documentali che relative al percorso professionale maturato dal richiedente, il livello di competenza professionale effettivamente raggiunto, onde verificare se sia o meno coincidente o comparabile con la qualifica richiesta dall’ordinamento per accedere alla professione regolamentata.
Ai sensi dell’art. 16, comma 4, nella Conferenza dei Servizi atta al riconoscimento delle qualifiche professionali conseguite in Paesi esteri per l’esercizio in Italia, indetta dall’Autorità competente, deve essere interpellato anche un rappresentante dell’Ordine, appartenente alla professione interessata.
Il rappresentante inviato dall’Ordine esprime un parere fondamentale ai fini dell’istruttoria, potendo proporre, se necessario, una misura compensativa in caso di difformità con l’ordinamento italiano, dopo aver valutato:
– formazione universitaria o altro
– durata del corso, modalità, volume orario
– discipline di base, caratterizzanti e professionalizzanti
– attività lavorativa del richiedente
Conclusa la fase istruttoria, l’Amministrazione competente provvederà alla comunicazione formale della decisione, che potrà essere:
In realtà, per effetto della Direttiva 2005/36/CE, non sarebbe possibile adottare un provvedimento di diniego rispetto ad un titolo comunitario, se lo stesso è valido per esercitare la professione nel Paese di origine.
La procedura deve concludersi nel termine di 120 giorni dalla presentazione della domanda.
Nel caso in cui il termine decorra integralmente senza emissione di provvedimenti da parte dell’amministrazione competente, sarà possibile impugnare il silenzio innanzi al Tar per veder dichiarare l’illegittimità della condotta inadempiente, con conseguente condanna della stessa amministrazione a adempiere pena il suo commissariamento.
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È, però, possibile subordinare l’emissione del decreto di riconoscimento al superamento di una misura compensativa, laddove il percorso formativo estero presenti differenze e carenze sostanziali in termini di modalità, durata e contenuti.
Di regola, le misure compensative si sostanziano in periodi di tirocinio formativo, prove scritte, completamento di esami specifici od altre misure compensative. Nel caso in cui la richiesta non venga ottemperata, l’esito sarà il rigetto della domanda.
I cittadini non appartenenti a Stati aderenti all’Unione Europea non potranno beneficiare del trattamento previsto dalle normative sinora richiamate, ma sussiste anche per loro la possibilità di ottenere il riconoscimento del titolo a condizioni specificatamente previste in relazione alle varie ipotesi presentate.
In ogni caso, coloro ai quali viene negato il riconoscimento del titolo o della qualifica professionale richiesta possono impugnare, qualora siano stati commessi errori procedurali e/o di valutazione dei percorsi, il provvedimento di diniego dinanzi al Tribunale Amministrativo.
Vista la peculiarità dell’attività e la complessità della disciplina normativa applicabile, diversa per ciascun tipo di riconoscimento richiesto, appare opportuno avvalersi di adeguata e competente assistenza professionale, che comprenda:
Soltanto in via residuale, qualora vengano individuate misure compensative non congrue rispetto al percorso di studi od alla qualifica conseguita dal richiedente, ovvero negato il riconoscimento reclamato, sarà opportuno valutare, con uno studio legale specializzato in materia, la possibilità di impugnare, nel termine di 60 giorni dalla notifica, il provvedimento amministrativo pregiudizievole davanti al TAR territorialmente competente, invocandone l’annullamento con conseguente riconoscimento della qualifica conseguita all’estero, così da poter accedere a concorsi o esercitare la professione sanitaria di volta in volta considerata.