Dirigenza medica e mancato conferimento incarico: il risarcimento del danno

Prima di esaminare i contenuti della decisione, recentemente resa dalla Corte di Cassazione Sez. Lav. con la pronuncia n. 8663/23, occorre ricordare che la retribuzione di posizione dei dirigenti medici e sanitari, che si compone di una parte fissa ed una variabile, è correlata anche all’incarico ricoperto.

La determinazione degli incarichi ed il relativo riconoscimento non sono tuttavia lasciati al libero arbitrio dell’azienda, rispondendo invece a precisi obblighi contrattuali che impongono all’amministrazione l’adozione di determinati provvedimenti all’esito di ben specifiche procedure che, non solo devono essere attivate, ma anche concluse secondo tempistiche ragionevoli, senza possibilità di rinvio a proprio piacimento e senza adeguata motivazione.

Il caso di un Dirigente Medico

Un medico dipendente di una APS territoriale, titolare di incarico professionale di alta specializzazione ex art. 27 lett. C del CCNL Dirigenza medica, conveniva in giudizio la sua Azienda, richiedendo il risarcimento del danno da inadempimento contrattuale per non aver effettuato le procedure di graduazione delle funzioni dirigenziali, con relativa pesatura degli incarichi, necessarie per ottenere la liquidazione della parte variabile dell’indennità di posizione aziendale.

Impugnata la sentenza di rigetto emessa dal Tribunale, la Corte di Appello riformava la prima decisione osservando che il riconoscimento dell’indennità di posizione variabile era correlata al completamento di un iter procedurale, che prevedeva l’approvazione del provvedimento di graduazione delle funzioni dirigenziali fondato, ai sensi dell’art. 53 CCNL di settore del 5.12.1996, sulla diversa pesatura di ciascun incarico in base all’importanza e alla complessità, non procrastinabile senza fornire adeguata motivazione.

La mancata attivazione delle procedure prima descritte, pur non potendo consentire la sostituzione del giudice all’attività amministrativa nella determinazione dell’importo dovuto, costituiva allora un inadempimento contrattuale dell’amministrazione, con conseguente responsabilità datoriale ai sensi dell’art. 1218 c.c. e relativo riconoscimento del ristoro patrimoniale quantificato in circa 10.000,00 euro.

La sentenza in questione veniva gravata dall’azienda sanitaria ricorrente, che affidava le sue ragioni a cinque motivi di censura.

La decisione della Corte di Cassazione

Nel respingere i motivi di doglianza sollevati dall’amministrazione pubblica rispetto al presupposto della domanda risarcitoria formulata dal dirigente medico, la Corte di Cassazione ha quindi richiamato un suo stesso precedente (Cass. Sez. Lav. del 9/03/2023 n. 7110), ritenendolo attagliato al caso in esame, dove veniva affermato che “In tema di dirigenza medica del settore sanitario pubblico, la P.A. è tenuta a dare inizio e a completare, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, il procedimento per l’adozione del provvedimento di graduazione delle funzioni dirigenziali e di pesatura degli incarichi, nel cui ambito la fase di consultazione sindacale, finalizzata anche a determinare l’ammontare delle risorse destinate al pagamento della quota variabile della retribuzione di posizione definita in sede aziendale e dipendente dalla graduazione delle funzioni, ha carattere endo-procedimentale”.

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Pertanto, secondo la Corte, “il mancato rispetto dei termini interni che ne scandiscono lo svolgimento, l’omessa conclusione delle trattative entro la data fissata dal contratto collettivo e le eventuali problematiche concernenti il fondo espressamente dedicato, ai sensi del medesimo contratto collettivo, alla quantificazione della menzionata quota variabile, non fanno venir meno di per sé l’obbligo gravante sulla P.A. di attivare e concludere la procedura diretta all’adozione di tale provvedimento”.

La mancata attivazione e conseguente finalizzazione della procedura suindicata consegna allora al dirigente medico che ne sia interessato la legittimità a richiedere, non tanto l’esecuzione dell’obbligazione non adempiuta, quanto piuttosto il risarcimento del danno per aver definitivamente perduto la chance di vedersi riconosciuta, e quindi liquidata, la parte variabile della retribuzione di posizione.

Quali prove fornire per ottenere il risarcimento

In termini di riparto dell’onere probatorio, spetterà al dipendente allegare un documento che attesti il diritto vantato e l’inadempimento della parte datoriale al proprio obbligo, mentre di contro sarà onere di quest’ultima fornire la prova dei fatti estintivi o impeditivi dell’altrui pretesa o che l’inadempimento è avvenuto per causa a lui non imputabile.

Il danno reclamabile in giudizio

Per quanto concerne la quantificazione del danno, lo stesso può essere ricondotto nell’ambito della perduta chance di poter acquisire un vantaggio economico che, a fronte della prova della sua effettiva sussistenza e del possibile vantaggio perso a causa della condotta inadempiente della P.A., può essere liquidato dal magistrato facendo ricorso al criterio dell’equità.

Dinnanzi alla richiesta del dirigente medico, che reclami la mancata attivazione (ovvero, come spesso registrato fra le Aziende sanitarie, l’effettivo completamento) delle procedure di graduazione delle funzioni, a nulla varrà quindi obiettare immotivati ritardi organizzativi, essendo onere delle Aziende attivarsi celermente per iniziare e portare a compimento, nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza, tutti gli atti necessari per l’adozione dei provvedimenti di graduazione delle funzioni e di pesatura degli incarichi, affinché coloro che ne abbiamo diritto possano giustamente ricevere, seppur a titolo di perduta chance, quanto dovuto, ivi inclusa la parte variabile della retribuzione di posizione.

 

 

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