Secondo la sentenza n. 17696/2020 della Corte di Cassazione, tra le obbligazioni pacificamente a carico della struttura sanitaria rileva quella di “garantire l’assoluta sterilità non soltanto dell’attrezzatura chirurgica ma anche dell’intero ambiente operatorio nel quale l’intervento ha luogo”.
La Corte afferma, che in un caso di infezione batterica contratta in ambiente operatorio, la struttura sanitaria risponde anche dell’opera dei terzi della cui collaborazione si avvale, ai sensi dell’art. 1228 cod. civ., dato che la sterilizzazione della sala operatoria e dei ferri chirurgici è compito che non spetta direttamente al chirurgo.
Ciò posto ne consegue la necessità, da parte della struttura sanitaria, di una particolare attenzione alla sterilità di tutto l’ambiente operatorio, proprio perché l’insorgenza di un’infezione del genere non può considerarsi un fatto né eccezionale né difficilmente prevedibile. Sarà quindi a carico della medesima struttura l’onere della prova di avere approntato in concreto tutto quanto necessario per la perfetta igiene della sala operatoria. Dimostrata pertanto l’effettiva sussistenza del nesso causale fra l’insorgere dell’infezione ed il ricovero, sarà quindi compito della struttura dimostrare l’inesistenza del nesso, eventualmente fornendo la prova rigorosa della compiuta attività di sterilizzazione nel caso concreto, ovvero della riconducibilità della malattia ad un fattore esterno che rendeva impossibile un corretto adempimento ai sensi dell’art. 1218 del codice civile.
Con la recente sentenza n. 204/2020, la Corte dei Conti – Sez. Lazio – è nuovamente intervenuta sulla questione dell’autonomia dei giudizi affermando che “l’accertamento dei fatti e della condotta del medico in sede di procedimento penale non può vincolare il giudice del processo civile chiamato alla diversa valutazione dei possibili danni arrecati al paziente dalla condotta del medico.” Per questi motivi “il giudicato penale non preclude al giudice del risarcimento – e quindi anche nel giudizio di responsabilità contabile – di operare una diversa valutazione dell’elemento soggettivo della responsabilità, pur essendo precluso un nuovo accertamento con una diversa ricostruzione dei fatti come accertati dal giudice penale.”
Con l’ordinanza n. 19631/2020, la Corte di Cassazione ha riaffermato il principio, valevole anche in tema di responsabilità sanitaria, per cui la CTU non può essere utilizzata per colmare le lacune probatorie in cui sia incorsa una delle parti o per alleggerirne l’onere probatorio. Le parti, infatti, non possono sottrarsi all’onere probatorio di cui sono gravate, ai sensi dell’art. 2697 c.c., e pensare di poter rimettere l’accertamento dei propri diritti all’attività del consulente. Il ricorso al consulente deve essere disposto non per supplire alle carenze istruttorie delle parti o per svolgere una indagine esplorativa alla ricerca di fatti o circostanze non provati, ma per valutare tecnicamente i dati già acquisiti agli atti di causa come risultato dei mezzi di prova ammessi sulle richieste delle parti (Cass. 06/12/2019, n. 31886).