È sempre questione di grande attualità quella della presenza di buche, sconnessioni ed avvallamenti sulle arterie stradali del nostro paese, soprattutto in quelle aree metropolitane che scontano una maggiore usura collegata a minori interventi manutentivi eseguiti dagli enti amministrativi preposti, che regolarmente diventano fonte di danno per l’utenza che vi si trovi a transitare, sia a piedi che alla guida di veicoli.
Non soltanto vetture e ciclomotori rimangono vittime di queste situazioni ma, di recente, sono sempre più in aumento i sinistri in cui risultano coinvolti monopattini e biciclette elettriche che, utilizzate dai cittadini per brevi spostamenti all’interno delle aree urbane, scontano il fatto di non avere le stesse caratteristiche di stabilità e resistenza di un autoveicolo, con conseguenze talvolta devastanti per chi li conduce.
Per avere un quadro più preciso dell’azione risarcitoria, eventualmente attivabile da colui che abbia patito un danno dovuto ad un difetto di manutenzione della sede stradale (o delle sue pertinenze, come ad esempio le piste ciclabili), occorre ricordare che la P.A. è soggetta ad alcune particolari disposizioni normative, che regolano specificatamente gli obblighi di manutenzione e di sicurezza di tutte le aree su cui è possibile la circolazione stradale e pedonale.
Fra le tante, basti rammentare quanto previsto dal Codice della Strada che, anche a seguito dell’ultima novella legislativa, prevede al suo art. 14, comma 1, che “gli enti proprietari delle strade, allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione, provvedono: a) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi; b) al controllo tecnico dell’efficienza delle strade e relative pertinenze; c) alla apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta”.
Per decenni, la giurisprudenza prevalente riconduceva le ipotesi di responsabilità della P.A. per danni da insidia stradale nell’ambito del principio generale del “neminem leadere”, sancito dall’art. 2043 c.c., ritenendo inapplicabile la ben più gravosa responsabilità del custode, specificatamente prevista dall’art. 2051 c.c., a cagione della enorme estensione del complesso stradale e del suo uso generalizzato, con conseguente impossibilità per gli enti locali di garantire un efficace e costante monitoraggio di ogni tratto viario per escludere ogni rischio per la circolazione.
La condotta dell’amministrazione veniva quindi censurata in sede giudiziale tutte le volte in cui la stessa non si fosse attenuta, nella manutenzione del sedime stradale e delle sue pertinenze, alle normative specifiche di riferimento, oltre che ai principi generali sanciti dall’art. 2043 c.c., essendo tenuta a porre in essere ogni intervento necessario ad impedire l’originarsi di situazioni costitutive un’insidia o trabocchetto per l’utenza, ossia con caratteristiche tali da rappresentare un pericolo occulto, non visibile e neppure altrimenti prevedibile, per coloro che fossero in transito.
Questa soluzione è stata ormai abbandonata dalla giurisprudenza di legittimità che, con consolidata convinzione, ha ricondotto anche questa fattispecie nell’ambito della responsabilità per danni da custodia, siccome prevista dall’art. 2051 c.c., fatta salva la possibilità per la P.A. di andare esente da ogni conseguenza pregiudizievole provando il caso fortuito, inclusivo anche della colpa di un terzo.
Un vero e proprio ribaltamento interpretativo, con riflessi soprattutto probatori, poiché si è passati da un onere tutto carico del danneggiato, che doveva quindi dimostrare il ricorrere di tutti i requisiti previsti dall’art. 2043 c.c., alla responsabilità oggettiva posta a carico dell’ente che detiene la custodia della sede stradale dove si è realizzato il sinistro.
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In un recente pronunciamento della Corte di Cassazione (ord. n. 13729/22) si rinviene un compendio significativo di tutti gli ultimi principi giurisprudenziale sul tema, laddove si legge:
Conclusione adamantina da parte della Cassazione che, terminando il suo ragionamento, ha quindi affermato che l’ente comunale, nel caso di specie coinvolto per una caduta di un ciclista per un avvallamento stradale, avrebbe dovuto dimostrare che questa situazione di pericolo, certamente presente ed intrinsecamente pericoloso, si fosse appena creata.
“Ragionando diversamente” – conclude la Corte – “tutti i custodi di strade potrebbero permettersi di lasciarle non riparate a tempi indefiniti, ovvero astenersi dalla custodia, perché gli avvallamenti possono essere percepiti materialmente da chi passa nelle ore luminose del giorno, soltanto negli orari notturni “risorgendo” la custodia”.
Quando si viene coinvolti in un sinistro stradale dovuto alla presenza di una buca, avvallamento od altra sconnessione della pavimentazione viaria, occorre dapprima avere cura di non rimuovere il proprio mezzo dal punto ove è avvenuto il sinistro (sempreché non sia di intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada), segnalando opportunamente il sinistro e premurandosi di chiamare le Autorità (Carabinieri, Polizia di Stato ecc..), affinché vengano ad eseguire i rilievi necessari sia per la descrizione dell’effettivo stato dei luoghi, che per la ricostruzione della dinamica dell’incidente.
Occorrerà altresì raccogliere la disponibilità a testimoniare di tutti coloro che hanno assistito al sinistro, invitandoli se possibile a rilasciare spontanee dichiarazioni ai verbalizzanti nell’immediatezza dell’evento ovvero, qualora siano impediti in quel momento, recandosi presso i loro uffici appena possibile.
Vanno poi eseguiti scatti fotografici e/o video che possano mostrare la natura e le caratteristiche dell’insidia stradale, avendo cura anche di riprodurre, quanto più possibile, le condizioni di visibilità godute dal conducente al momento del sinistro, comprese quelle meteorologiche.
Individuato il soggetto deputato alla manutenzione del tratto viario, sarà quindi possibile inoltrare (meglio se con l’ausilio di un legale esperto della materia) formale richiesta di risarcimento (mediante raccomandata r.r. o Pec), con dettagliata descrizione delle modalità dell’occorso e delle prove disponibili, corredata dalla documentazione attestante la natura dei danni materiali e fisici eventualmente patiti, con conseguente invito all’apertura del sinistro presso l’assicuratore dell’ente medesimo per una definizione bonaria dell’insorgente controversia.
Qualora tale iniziativa non dovesse trovare puntuale riscontro dal soggetto deputato alla custodia del tratto viario, non potrà che ricorrersi all’azione giudiziaria avanti all’Ufficio territorialmente competente (Giudice di Pace o Tribunale, a seconda del valore del danno reclamato), premurandosi però di far previamente verificare ad un avvocato con maturata esperienza nel settore l’effettivo ricorrere di tutte le emergenze probatorie utili ad una corretta instaurazione del contenzioso, così da ridurre al massimo ogni possibile rischio di soccombenza processuale.