La cartella esattoriale è definita dal sito stesso dell’Agenzia delle Entrate come “cartella di pagamento”, proprio perché è un atto amministrativo atto a riscuotere dei contributi nei confronti di chi la riceve, identificato come il debitore.
Quest’ultimo dovrà ricevere la cartella di pagamento, correttamente notificata ai sensi dell’art. 25 del DPR n. 602/’73, affinché questa venga classificata cosiddetto titolo esecutivo ex art. 474 cpc, al pari di decreti e ordinanze che enunciano obblighi di pagamento.
Il principio di esecutorietà del titolo legittima così il concessionario a promuovere azioni esecutive a tutela del credito, promuovendo il pignoramento dopo i 60 giorni dalla notifica della cartella esattoriale. Durante quel periodo, il debitore può:
L’Agenzia delle Entrate – Riscossione può agire per recupero crediti con diversi tipi di atti.
Il più conosciuto è, come detto, la cartella di pagamento. Con questa si mette in atto tutta la procedura per riscuotere i tributi. La cartella può riguardare qualsiasi imposta relativa a quegli enti che, per legge o per convenzione, affidano all’Agenzia delle Entrate il recupero crediti.
La cartella di pagamento deve indicare il titolo al quale si riferiscono le somme richieste, anche richiamando in sintesi gli estremi di un precedente atto di accertamento già notificato al contribuente e l’intimazione di pagamento entro 60 giorni dalla notifica, avvisando che in mancanza si procederà ad esecuzione forzata, quindi al pignoramento dei beni mobili o immobili del debitore. Deve contenere anche le istruzioni sulle modalità di pagamento e le modalità per proporre ricorso.
In forza della cartella di pagamento che costituite titolo esecutivo, si può procedere a Pignoramento. Si tratta di una delle azioni cautelari e conservative da parte del creditore, il quale viene autorizzato così alla “riscossione coattiva” del proprio credito, intervenendo e bloccando i beni del debitore e dei suoi coobbligati, a partire dal pignoramento dei conti correnti fino ad arrivare ad altri beni, come la casa.
L’avviso di accertamento è quell’atto emesso dall’Agenzia delle Entrate per i tributi di sua competenza (imposte sui redditi, Iva e Irap) che risultano essere già esecutivi e per i quali i debitori sono già stati intimati al pagamento. Segnano l’inizio delle procedure coattive. Ha lo stesso valore della cartella di pagamento, con l’ulteriore avviso che si procederà a riscossione coatta.
Un altro metodo è costituito dall’avviso di addebito. In tal caso, è l’INPS che dispone della possibilità di riscuotere coattivamente i crediti previdenziali accertati con un atto che accerta il credito e intima il debitore, che vale come titolo esecutivo e sostituite la cartella di pagamento.
Intimazione di pagamento, ingiunzione di pagamento sono atti successivi per eseguire le azioni cautelari e coercitive sui beni del debitore.
A seconda del tipo di atto utilizzato dall’Agenzia delle Entrate, devono prendersi subito in considerazione i termini entro i quali questi atti si possono contestare. Prima di ogni cosa, è necessario verificare se all’interno della cartella di pagamento o dell’equivalente atto sia presente, a pena di nullità, l’indicazione dei termini per contestare ed eventualmente opporsi e l’indicazione dell’organo competente al quale eventualmente riferirsi.
Ovviamente, si deve fare attenzione alla data di notifica e al tempo trascorso dalla ricezione a quando si decide di intervenire. Se questo termine è decorso, l’opposizione verrà giudicata inammissibile.
Consultare un avvocato specializzato, può essere essenziale per esigere i propri diritti ed esplicare i propri doveri. Rivolgiti ai migliori avvocati specializzati del team di Consulcesi and partners!
Il tipo di atto e la somma da riscuotere sono indicativi anche della competenza del Giudice a cui rivolgersi per opporsi. Ma vediamo nel dettaglio come funziona.
È possibile opporsi a tutti gli atti emessi dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione attraverso un ricorso. Si tratta di un atto con il quale ci si oppone alla richiesta del vantato credito, chiedendone l’annullamento dell’atto che intima il pagamento. Alla base, ovviamente, dovranno esserci dei validi motivi.
Possono essere:
In tal caso, la contestazione verterà sulla “sostanza” della pretesa impositiva. In tal caso, si potrà procedere asserendo che il contribuente non ne ha ricevuto notizia di alcun tipo. Questo accade, ad esempio quando la notifica non è stata eseguita correttamente.
L’atto potrebbe, come accennato, non contenere l’indicazione dei termini e dell’organo a cui riferirsi in caso di opposizione, oppure si potrebbe riscontrare l’assenza della data di iscrizione a ruolo o dell’esposizione dei criteri seguiti per il calcolo degli interessi applicati e ancora l’errata procedura di notifica o la Pec invalida, nel caso in cui la cartella sia pervenuta da un indirizzo non presente nei pubblici registri e altri vizi di questo tipo per cui l’esecutività è improcedibile.
In tal caso, si dovrà sollevare nel ricorso l’eccezione di omessa notifica e durante il processo l’Agenzia Entrate – Riscossione dovrà fornire la prova di averla notificata, esibendo in originale la documentazione a comprova, come la relata di notifica, l’avviso di ricevimento della raccomandata o l’attestazione di invio e di avvenuta consegna della Pec.
Un’altra eccezione fondamentale è la prescrizione che estingue il debito. In tal caso, il tempo previsto dalla legge per poter esercitare il diritto a richiederlo in pagamento e a riscuoterlo coattivamente è trascorso. La prescrizione non opera automaticamente, ma deve essere eccepita nel ricorso; il giudice, quando constata che è maturata, dichiara estinto il debito per intervenuta prescrizione.
Non tutti sanno che alle volte è possibile procedere in autotutela per chiedere l’annullamento della cartella esattoriale. Nel caso in cui si identifichi in autonomia il motivo di illegittimità, si potrà chiedere all’Agenzia delle Entrate o all’ente specifico che l’ha emessa l’annullamento. Questo può accadere, ad esempio, quando: la cartella è stata inviata alla persona sbagliata, o se è stato individuato un errore di calcolo nella richiesta del pagamento, o ancora se non è stato tenuto conto degli effettivi pagamenti saldati per debito contestato, oppure per un errore dello stesso contribuente.
Sarà comunque necessario agire in modo abbastanza rapido per poter effettivamente ricevere la sospensione del debito o l’annullamento per una delle motivazioni viste sopra. Tuttavia, è possibile che sussista comunque l’eventualità di dover presentare un ricorso al giudice.
Dal 2020, per completezza di informazione, è bene sottolineare che è entrato in vigore il processo tributario telematico tranne nei casi in cui si è ammessi a stare in giudizio personalmente.