Di recente è venuta alla ribalta, soprattutto nel settore del contenzioso assicurativo dei professionisti sanitari, la questione dell’indennizzabilità del rischio dovuto al contagio da virus SARS-CoV-2 nell’ambito delle coperture previste dalle polizze private infortuni, ossia di quei contratti assicurativi a cui ciascuno può liberamente accedere sul mercato volendo usufruire di una copertura, a proprio favore o di altri beneficiari, a garanzia delle conseguenze lesive dovute al verificarsi di un evento infortunistico.
Con riferimento al personale sanitario, le conseguenze del Covid (in termini di postumi invalidanti, inabilità temporanea ed eventuale morte) hanno trovato tutela indennitaria nell’ambito della previdenza sociale (Inail) che, di fatto, ha previso il riconoscimento della presunzione di infortunio sul lavoro per tutti coloro che, rivestendo tale qualifica, hanno contratto il virus nell’esercizio delle proprie funzioni lavorative.
L’art. 42, comma 2, del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito in legge 24 aprile 2020, n. 27, ha stabilito infatti che l’infezione da nuovo Coronavirus contratta sul luogo di lavoro è tutelata come infortunio dall’Inail.
Le circolari n. 13 del 03.04.2020 e n. 22 del 20.05.2020 hanno poi precisato che si tratta di una presunzione semplice di collegamento causale per cui si ritiene, salva la prova contraria, che il virus sia stato contratto sul luogo di lavoro e che pertanto è indennizzabile dall’Inail come infortunio sul lavoro.
Di fatto, però, sono rimaste fuori copertura tutte le altre categorie non rientranti nella tutela Inail, non potendosi certo considerare i modesti contributi Enpam minimamente soddisfacenti, così come tutti quei lavoratori che, non essendo personale sanitario, hanno contratto il Covid senza poter godere della predetta presunzione.
In ogni caso, il problema che è rimasto sul tavolo – a prescindere dalla copertura previdenziale per l’infortunio sul lavoro – è quello dell’indennizzabilità delle conseguenze del contagio nell’ambito delle polizze assicurative infortuni che chiunque può aver stipulato per sé o per i propri familiari. Ne abbiamo discusso proprio nell’ultimo appuntamento del ciclo di webinar trasmessi sul nostro canale Facebook “Caffè con Consulcesi & Partners”, dal titolo “Professionisti sanitari, Covid e assicurazione: tutto quello che c’è da sapere”.
Questi contratti sono generalmente caratterizzati da un paragrafo iniziale che, a mo’ di leggenda, riporta la descrizione di buona parte delle definizioni utilizzate nel testo di polizza, tra le quali anche quelle che determinano l’oggetto della garanzia.
Tra queste, l’“infortunio” è descritto come quell’evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna che produce lesioni corporali obiettivamente constatabili, le quali abbiano per conseguenza la morte, un’invalidità permanente ovvero un’inabilità temporanea.
La malattia viene, invece, definita “ciò che non è infortunio”: quindi si identifica per esclusione.
Il tema è quindi quello di verificare se l’infezione virale causata dal virus Covid-19 rientri o meno nella definizione di “infortunio” prevista dei contratti di polizza.
Riprendendo la descrizione appena fornita, un infortunio è indennizzabile quando l’evento sia ascrivibile ad una causa unica che presenti le seguenti caratteristiche:
1) sia esterna: che provenga cioè al di fuori del corpo
2) sia fortuita: imprevedibile e accidentale
3) sia violenta: cioè concentrata nel tempo in rapporto alla causa lesiva nel determinare lesioni corporali o la morte. Ciò non esclude che il rapporto causa-effetto possa anche non essere immediato, sempre che la lesione sia comunque conseguenza di causa unica e concentrata nel tempo
In tutti i casi diversi dai requisiti sopra elencati, si rientra nel concetto di “malattia”, che si ha quando una causa lesiva agisce in maniera “diluita nel tempo” e per la quale non è possibile indentificare un unico momento lesivo.
Venendo alla infezione da Covid-19, essa è certamente fortuita, dato che non si può ritenere che l’entrata in contatto con una persona infetta sia un atto volontario.
Non solo, la causa è chiaramente esterna: il virus non ha certamente carattere endogeno, non provenendo dal corpo del paziente e costituendo invece un fattore lesivo che proviene dall’esterno.
Senza dubbio, è anche una causa violenta perché il contatto con il virus non è dilatato nel tempo, ma concentrato cronologicamente.
Sotto tale aspetto, le motivazioni maggiormente seguite dalle assicurazioni per contestare la riconducibilità dell’infezione da Covid-19 al concetto di infortunio, si concentrano nel non ritenere l’insorgenza della relativa causa come “rapida”.
Tale ragionamento, pur suggestivo, non è assolutamente condivisibile per il semplice fatto che il concetto di “rapidità” della causa non può implicare che essa debba necessariamente essere “immediata” o “istantanea”, ben potendo invece la medesima essere “concentrata”, ossia caratterizzata dal suo svolgersi in un breve intervallo di tempo.
D’altra parte, se le polizze avessero voluto connotare tale rapidità come “istantanea”, avrebbero utilizzato espressamente tale termine e non genericamente la parola “rapida” che, ontologicamente, non può ritenersi coincidente solo con il concetto di istantaneità.
Si può quindi affermare, con un certo grado di ragionevolezza, che un’infezione da Covid-19 possa essere ricondotta nell’ambito del concetto di infortunio indennizzabile secondo le definizioni previste nei contratti di polizza infortuni, a patto che la polizza non escluda le conseguenze delle infezioni virali.
Quanto sopra è stato recentemente confermato, da un punto di vista medico legale, anche dal Consiglio Direttivo della Società Medico Legale Triveneta con la Delibera assunta in data 12 giugno 2020 dove si legge testualmente che un’infezione virale acuta, virulenta, rientra nella definizione di “infortunio”.
La stessa considerazione emerge dalle conclusioni del V Congresso interdisciplinare medico chirurgico, con la conseguenza che le denunce di infortunio per le conseguenze pregiudizievoli dovute alla contrazione del virus Covid-19 sono legittime e possono dar corso al pagamento degli indennizzi previsti dalle polizze private.
Infatti, l’estate scorsa il V Congresso interdisciplinare medico chirurgico, convocato proprio su questa tematica, ha concluso che:
1) le polizze sanitarie private stipulate prima della pandemia sono applicabili anche ai danni da Covid;
2) il contagio del virus deve considerarsi causa fortuita, esterna e violenta da equipararsi ad infortunio;
3) a fronte della denuncia presentata dall’assicurato, sarà onere dell’assicuratore dimostrare che si tratta di evento non riconducibile ad infortunio, ovvero che il medesimo soggetto avesse già una predisposizione al contagio un decorso diverso dall’infortunio.
Del resto, tutta la dottrina medico-legale era già pressoché unanime nel ritenere che l’evento “infezione” fosse da ricondurre a causa esterna, fortuita e violenta e che quindi dovesse rientrare nel concetto di infortunio (crf. Durante, Borri, Palmieri, Di Luca).
Anche il Presidente della Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni, dott. Riccardo Zoja, ha confermato che ” …ontologicamente, anche nell’ambito della polizza privata contro gli infortuni (…) l’evento infettante in sé costituisce, ad ogni effetto, infortunio ai sensi della più diffusa definizione contrattuale dello stesso”.
Sul punto anche la Corte di Cassazione, con la sentenza del 28-10-2004, n. 20941, pronunciata in tema di infezione virale, aveva ritenuto che “in materia di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, si configura la causa violenta anche nell’azione di fattori microbici o virali i quali, penetrando nell’organismo umano, ne determinino l’alterazione dell’equilibrio anatomo-fisiologico, purché tale azione, anche se gli effetti si manifestino dopo un certo lasso di tempo, sia in rapporto con lo svolgimento della attività lavorativa anche in difetto di una specifica causa violenta alla base dell’infezione.”
Per quanto sopra, possiamo quindi legittimamente ritenere che l’unica ragione di esclusione dalla indennizzabilità degli eventi riconducibili ad un’infezione virulenta (come quella da Covid-19) potrà essere rinvenuta solo ed esclusivamente dalla presenza, nelle condizioni generali di contratto, di una espressa clausola di esclusione, ma non certo perché un tale evento non rientri nell’ambito del concetto di “infortunio” quale avvenimento fortuito, violento ed esterno.
Una volta ammessa la riconducibilità, in astratto, dell’evento “infezione” nell’ambito del concetto di infortunio indennizzabile, sarà comunque necessaria un’accurata indagine medico legale per stabilire, caso per caso, se l’infezione da Covid-19 sia stata la causa non solo necessaria ma anche sufficiente alla produzione del danno subito dall’assicurato (ad es. nel caso in cui il paziente presenti delle preesistenze o comorbilità che potrebbero comportare, ove provate dall’assicuratore, l’esclusione o la riduzione dell’indennizzo, secondo gli usuali principi tecnici).
Per poter richiedere l’indennizzo è necessario aver contratto il virus, da cui siano conseguiti pregiudizi diretti per l’assicurato (morte, invalidità permanente, inabilità temporanea ecc…), ed essere beneficiari di una polizza privata infortuni.
Di recente si è registrato, sul fronte giudiziario, un autorevole e motivato pronunciamento di merito che, contrariamente al parere difforme espresso in alcune sentenze, ha sposato appieno la tesi dianzi affermata, cioè che le lesioni (ed eventualmente la morte) provocate dal contagio Covid sono infortuni a tutti gli effetti, con conseguente accesso all’indennizzo previsto dalle polizze private a copertura degli infortuni, tranne nel caso in cui siano stabilite apposite esclusioni contrattuali, ovvero siano state provate preesistenti condizioni patologiche tali da escludere gli indici rilevatori dell’infortunio.
La sentenza resa lo scorso gennaio dal tribunale di Torino aderisce pianamente alle conclusioni rassegnate dal CTU, che ha illustrato le ragioni medico legali per ritenere il contagio Covid un vero e proprio infortunio, aggiungendo a supporto che, in caso di dubbio interpretativo sulle condizioni di polizza, soccorre l’art. 1370 c.c. che consente al magistrato l’“interpretatio contra stipulatorem”, quindi a favore dell’assicurato piuttosto che dell’assicuratore che ha predisposto il modulo contrattuale.
Ancor più recente il favorevole pronunciamento reso dal Tribunale Civile di Vercelli del 3/08/2022 che, dovendo stabilire se l’evento infortunio (che, nel caso specifico, aveva causato la morte di un medico di Medicina Generale) rientrasse o meno fra le condizioni previste dalla polizza infortuni stipulata dall’Enpam a favore dei propri iscritti, ha positivamente risposto facendo espresso riferimento sia all’interpretazione del concetto di infortunio suggerita dalla consesso medico-legale sia, per quel che più rileva, ad una lettura delle condizioni negoziali previste dal contratto assicurativo coerente con le nozioni di infortunio da Covid 19 fornite dalla legislazione emergenziale che, seppur per il distinto ambito previdenziale, hanno comunque fornito un’indicazione chiara dell’ambito infortunistico entro il quale il legislatore ha voluto ricondurre il contagio da Covid 19.