Migliaia di passeggeri questa estate sono rimasti a terra a causa della cancellazione o del ritardo del volo prenotato. Questo ha comportato notevoli disagi per i viaggiatori, come dover ripianificare l’arrivo nelle strutture ricettive e nelle agenzie di noleggio auto, o acquistare un nuovo biglietto aereo per non perdere l’agognato periodo di ferie.
La legge riconosce la tutela del periodo di ferie, attraverso i contratti collettivi e norme giurisprudenziali. Da qui discende anche la possibilità di elargire congrui ristori nel caso in cui la tanto desiderata vacanza risulti, invece, irrimediabilmente compromessa a causa di disservizi o mancanze riconducibili al venditore del viaggio e al suo organizzatore.
Ne abbiamo parlato nell’ultimo appuntamento del ciclo di webinar trasmessi sul nostro canale Facebook “Caffè con Consulcesi & Partners”, dal titolo “Risarcimento danni da vacanza rovinata: come fare?”, con i nostri esperti avvocati Andrea Alecce e Francesco Del Rio, che hanno risposto alle domande più urgenti su come tutelarsi in futuro e ottenere il risarcimento delle spese sostenute.
Prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 62/2018, la responsabilità del fornitore di pacchetti turistici “tutto compreso” (ossia, secondo l’espressione comunemente utilizzata “all inclusive” o “package”) era regolata dagli artt. 32 e ss. d.lgs. n. 79/2011, che altro non erano che la trasfusione in un testo unico di norme più risalenti, ovvero più precisamente degli artt. 83 e ss. del Codice del Consumo (d.lgs. 206/05), a loro volta riprese dagli artt. 3-4 del d.lgs. 17.3.1995 n. 111, a sua volta emanato in attuazione della Direttiva 90/314/CEE del 13 giugno 1990, ora abrogata e sostituita dalla Direttiva UE 2015/2302 del 25 novembre 2015.
Attualmente la disciplina dei cd. “danni da vacanza rovinata” del d.lgs. n. 62/2018, attuando i principi dettati dalla direttiva europea 2015/2302 in tema di pacchetti turistici e i servizi turistici collegati, ha sostanzialmente trasfuso quanto già disciplinato dall’art. 46 del precedente d.lgs. n. 79/2011 ripetendo che:
Come si desume dalla disciplina appena richiamata, i soggetti coinvolti nel rapporto negoziale riguardante l’acquisto del pacchetto turistico sono generalmente, oltre al viaggiatore, l’organizzatore ed il venditore, accanto a una serie di soggetti terzi (vettori aerei, società di noleggio veicoli, guide turistiche ecc….) di cui l’organizzatore generalmente si avvale per la fornitura di tutti i servizi ricompresi nel pacchetto offerto al pubblico, e di cui pertanto risponde direttamente in caso di inadempienza, fatta salva la possibilità di procedere alla azione di rivalsa per quanto corrisposto al cliente e imputabile al terzo fornitore.
Il contratto di viaggio vacanza “tutto compreso” (o, come detto, di package) prevede, di regola, la combinazione di almeno due degli elementi costituiti dal trasporto, dall’alloggio e da servizi turistici agli stessi non accessori (guide turistiche, escursioni, visite ecc..), con durata superiore alle 24 ore o, comunque, ricomprendenti almeno una notte.
In questa tipologia di contratto, ciò che rileva primariamente è la circostanza per cui si assiste ad una combinazione di tutti i servizi, che mira specificatamente alla soddisfazione di quei particolari interessi di svago, relax, culturali, ludici e di riposo, che costituiscono quella “finalità turistica” che il comune cliente intende perseguire nel momento in cui si orienta nella scelta di acquisto del pacchetto turistico.
La “finalità turistica” diventa allora l’interesse che il contratto intende precipuamente soddisfare, divenendone così la cd. “causa concreta”, con ogni conseguenziale riflesso sia in termini di valutazione di adeguatezza del negozio alla finalità perseguita dall’acquirente, che di apprezzamento circa la gravità di possibili situazioni di disservizio rispetto alle legittime aspettative del cliente.
A differenza del testo previgente, la nuova disciplina normativa distingue espressamente la responsabilità dell’organizzatore, afferente la qualità delle prestazioni descritte nella proposta di vendita del pacchetto con conseguente assunzione di responsabilità per eventuali disagi cagionati al turista acquirente, da quella del venditore, che invece inerisce l’assolvimento degli obblighi, anche informativi prenegoziali, derivanti dalla sottoscrizione del contratto su di sé ricadenti.
Fra gli obblighi che ricadono sull’intermediario, si annoverano quelli informativi riguardo alle modalità di viaggio, la corretta trasmissione delle prenotazioni, incassare il prezzo e restituirlo in caso di annullamento, scegliere attentamente l’organizzatore, non potendolo ritenere direttamente responsabile di eventuali inadempienze dell’organizzatore o della non rispondenza dei servizi effettivamente offerti a quelli promessi e pubblicizzati, a meno che non si dimostri che l’intermediario, tenuto conto della natura degli inadempimenti lamentati, li conosceva o li avrebbe dovuti conoscere, facendo uso della diligenza da lui esigibile in base all’attività esercitata.
Come si vede, si tratta di un’ipotesi di danno (quello da cd. “vacanza rovinata”) strettamente connessa all’inadempimento contrattuale, disciplinato dall’art. 1218 c.c., ovvero all’inesatta esecuzione delle prestazioni contenute nel pacchetto turistico acquistato dal turista, sempre che questa eventualità sia considerata di non scarsa importanza secondo quanto espressamente previsto dall’art. 1455 c.c.
Questo significa, in altri termini, che non tutti i disagi rispetto al programma turistico acquistato possono essere forieri di risarcimento a titolo di vacanza rovinata, ma unicamente quelli che manifestino chiari elementi di gravità della lesione e della serietà del pregiudizio patito dal turista, compatibilmente con il principio di tolleranza delle lesioni minime.
Fra i vari esempi vagliati favorevolmente dalla giurisprudenza, si annoverano l’assenza dei servizi previsti dall’opuscolo al momento dell’acquisto, la mancata corrispondenza degli standard qualitativi della struttura alberghiera prescelta rispetto a quella poi realmente assegnata, il cambio di destinazione, la cancellazione del volo in partenza e tante altre spiacevoli situazioni.
In tali casi il turista, oltre ed eventualmente a prescindere dalla domanda di risoluzione del contratto di acquisto, potrà quindi spiegare apposita domanda di risarcimento del danno connesso alla durata della vacanza, al tempo inutilmente trascorso e, in particolare, all’irripetibilità dell’occasione perduta.
Utilizzando una nozione magari datata, ma ancora largamente diffusa fra gli operatori del diritto, il danno da vacanza rovinata si configura allora come il disagio psicofisico patito dal viaggiatore per effetto del mancato godimento del periodo di riposo e svago che si era programmato con l’acquisto del pacchetto turistico.
Si tratta, quindi, di una tipologia di danno che, dipeso da una situazione di inadempienza imputabile al venditore e/o all’organizzatore di un viaggio, provoca a carico dell’acquirente sia un pregiudizio di natura patrimoniale, consistente nei maggiori costi sostenuti per il verificarsi del disservizio, sia eventuali danni di natura non patrimoniale, così come declinati ai sensi dell’art. 2059 c.c.
La nostra giurisprudenza, in perfetta adesione a quella comunitaria, ha difatti attribuito grande rilevanza all’interesse del viaggiatore al pieno godimento del viaggio organizzato, alla stregua dell’integrale fruizione di un periodo di piacere e riposo, considerandolo così ascrivibile a quelle fattispecie per le quali la stessa legge riconosce il pieno diritto al ristoro del danno morale.
Riguardo al riparto dell’onere probatorio, trattandosi di inadempimento contrattuale, il turista sarà tenuto a dimostrare, ex art. 1218 c.c., l’effettiva sottoscrizione del contratto con l’intermediario del pacchetto, ovvero direttamente con il tour operator, limitandosi a dedurre l’inadempimento totale o parziale della controparte rispetto alle prestazioni offerte al momento dell’acquisto dimostrando, tramite prove documentali, testimoniali o quant’altro utile, l’effettiva sussistenza e rilevanza dei danni, patrimoniali e non, patiti a causa dell’inadempimento altrui.
Per conto, l’organizzatore del viaggio e l’intermediario saranno tenuti, ciascuno secondo i rispettivi obblighi assunti con la stipula del contratto di viaggio, a dimostrare il corretto adempimento delle prestazioni rispettivamente assunte, ovvero l’impossibilità di adempiere per causa imputabile allo stesso viaggiatore, ovvero per il verificarsi di fatti imprevedibili o inevitabili eventualmente imputabili a terzi estranei, oppure per caso fortuito o forza maggiore.
Sotto il profilo dei danni ristorabili, quest’ultimi si distinguono in due categorie: il danno economico, consistente negli esborsi sostenuti per ovviare ai disagi patiti, da cui la conseguente necessità di mantenere con sé tutti i documenti fiscali attestanti l’effettivo pagamento, nonché Il danno non patrimoniale conseguente alla situazione di stress sofferta.
Per quanto concerne la prova del danno non patrimoniale, le presunzioni disciplinate dal nostro ordinamento possono assumere particolare rilievo in queste dispute, potendo altresì rappresentare l’unico elemento di convincimento del magistrato a condizione che si alleghi un’adeguata serie di elementi fattuali che consentano di risalire dal fatto noto a quello ignoto, rammentando infine che, per giurisprudenza costante, qualora sia raggiunta la prova dell’inadempimento si intende dimostrato il mancato raggiungimento di quella “finalità turistica”, che di per sé costituisce già l’obiettivo primario del rapporto contrattuale, con conseguente diritto a vedersi risarcito il relativo danno esistenziale.
Sarà poi il magistrato a dover valutare, in sede di giudizio, sia l’importanza dell’inadempimento dedotto dal viaggiatore sia la gravità del pregiudizio da questi invocato, dovendo svolgere il suo apprezzamento nel rispetto dei principi generali di correttezza e buona fede, bilanciando i contrapposti interessi tenuto conto del principio di tolleranza delle lesioni minime e della condizione concreta delle parti.
Infine, occorre precisare che il diritto al risarcimento si prescrive entro tre anni decorrenti dal momento in cui il viaggiatore fa rientro nel luogo di partenza, fatto salvo il riconoscimento del più lungo termine specificatamente stabilito da disposizioni di legge per i servizi ricompresi nell’offerta di viaggio acquistata dal cliente.